17 settembre 2005

Mostra ABTamo

Ecco un punto, in lontananza. Dal punto crescono delle linee mentre lo sguardo scende lentamente, plana seguendo la direzione di un corridoio aereo non segnalato, ma reale; difficile, se non impossibile, deviare il percorso che porta inesorabilmente verso quell’intrico di tracce sovrapposte. Ecco, mi avvicino sempre più, la linea non disegnata sulla superficie del piano sorvola una apertura, una vera e propria porta di ingresso. Ciò che sembrava essere un groviglio di linee possiede un suo ordine strutturale rigoroso anche se le sagome delle stesse, nei loro tratti costitutivi, risultano informi, frastagliate e, apparentemente, disordinate. È il disordine delle idee creative che si accumulano intrecciandosi caoticamente in ciascuno di noi prima di organizzarsi in un pensiero organico, retto percorso verso il suo compimento; è l’immagine del passaggio metaforico tra fantasia ed immaginazione, tra, come ha definito Carl Gustav Jung, “idea senza sostanza” ed “evocazione attiva di immagini interne … che tenta di comprendere i fatti interni e di rappresentarli con immagini fedeli alla loro natura (opus)”. Sono linee realizzate con la cenere, grigio materiale di combustione, leggero e volatile, avanzo futile di un processo catastrofico, presupposto di una rinascita che qui si materializza in una organica struttura. L’occhio si mangia le linee, rilievi quasi impercettibili scorrono con velocità sotto il raggio visivo come le colline di verde solitudine dell’Oregon, sotto l’elicottero di Kubrick, prima di arrivare allo Shining del destino finale. Ed ecco, anche qui, improvviso, comparire un labirinto. In un recinto quadrato si adagia un grande cerchio dalla cui circonferenza, ad intervalli regolari, partono otto corridoi che vertono tutti verso il centro. L’ordine è massimo, la simmetria rigorosamente rispettata. È la casa della disciplina: ogni cosa al suo posto, ogni spazio pulito e misurato, ogni forma un suo motivo d’essere. Il quadrato, stabile ed inamovibile, con le sue porte aperte ai quattro punti cardinali, rappresenta il corpo costitutivo dell’opera, il recinto dentro il quale far crescere la propria individualità, le fondamenta di uno spazio consacrato alla ricerca di se stesso. All’interno di esso un cerchio trova ragione di esistere nella sua circolarità: è un cerchio, ma anche una ruota che, come tale, ruota; una struttura che, imbrigliata dall’autocratico quadrato, sembra indicare movimento senza spostamento. Fisso con lo sguardo la circonferenza dell’anello di cenere, ecco, come spesso accade quando ci si sofferma a fissare lungamente un punto qualsiasi e, dopo un po’ di tempo, tutto, intorno al raggio di visione, gira su se stesso, ora anche questo cerchio comincia a ruotare vorticosamente. Non c’è spostamento, ma il virtuale movimento mi indica una assoluta direzione, la direzione della centralità dove un altro piccolo spazio circolare delimita il mozzo su cui i raggi del cerchio e del quadrato convergono. Lo spazio è vuoto, il punto centrale non è segnato ma facilmente individuabile: è il luogo del silenzio, è il centro dell’eterno ora. Il timore di perdersi nel labirinto svanisce perché il suo principale compito è quello di centrare lo sguardo, rivelatore della grande illusione della manifestazione esistenziale.