Cesare non amava Roma e non ci andava volentieri. Anche quella volta non faceva eccezione. I suoi occhi inondati dal sole esploravano una città che aveva smesso di parlargli. Ricordava un precedente viaggio nella città…emerse nella sua memoria un passato rarefatto e inesatto, tracce e frammenti di un insieme che non era stato in grado di leggere e di capire. Non erano entrati in risonanza, e la vita, lo stupore, l’energia e la tensione della città lo sfioravano appena, senza toccarlo. C’erano un bel sole e una bella luce, e per un attimo dimenticò le sue origini nebbiose e perpendicolari godendosi la città, come mai aveva fatto prima. Questa volta sembrava diverso, come un primo appuntamento. Erano entrambi disponibili. L’anno volgeva al termine e la città aveva una sorpresa per lui.

La casa romana aveva un’atmosfera indolente, da bar o da crocicchio e così i suoi abitanti. Non tutti. Una figura emergeva con prepotenza da quel brodo primordiale. Quando la conobbe capì che quella passeggiata lo aveva spalancato e illuminato, quel sole aveva disperso la nebbia e svelato l’apertura nella quale Constance entrò. Era a Roma per fare l’attrice. La vedeva bene in quell’universo dai segni leggeri e superficiali. Si muoveva e parlava con una disinvoltura che lui non aveva e che non avrebbe mai avuto. Il fatto che una persona del genere lo attraesse destò in lui una profonda inquietudine e mille interrogativi. Tirò dritto e non si ascoltò. Era il momento di cambiare, provare nuove strade. Fu grato alla città e ai suoi abitanti per quel regalo inatteso. Era l’ultimo luogo dal quale si sarebbe aspettato una cosa del genere. La nebbiosa inquietudine che lo accompagnava sempre aveva trovato in lei ragione e motivo per farsi da parte a favore di una rinnovata energia, nutriente e radiosa.

Lasciò la luce e le rovine di Roma con il cuore colmo di gioia e gratitudine, deciso a mantenere quello stato di grazia per sempre. Mentre rientrava verso il nord e le sue coordinate fredde e crepuscolari si accorse di essere attraversato da mille dubbi. Emergevano gradualmente, con circospezione. Di solito erano consiglieri fidati. Un velo scese sui suoi occhi, fino al cuore. Non era la prima volta. In ogni grande periodo della sua vita si manifestava inesorabile l’attrazione dell’abisso con le sue profondità vertiginose. Promise solennemente a sé stesso che quella volta non avrebbe ceduto, non avrebbe sprecato quell’occasione. Sarebbe stato diverso, avrebbe lottato, non si sarebbe abbandonato, ma ritrovato.

La ritrovò a Torino, in una dimensione orizzontale e tranquilla, e per un attimo, ci fu la luce di Roma, la sua energia, i suoi profumi. Fu rivelatore e devastante. Capì immediatamente che era tutta la vita che l’aspettava. Per lui era un altro mondo. C’era dentro tutto. In tutti i sensi. Tanto lui era radicato lei era sfuggente, quanto lui si avvicinava lei si allontanava, quanto lui sano lei folle. Era illusione e disillusione, passione e indifferenza. In lei ritrovava tutto il suo viaggio umano e letterario. L’esistenza con tutte le sue sfumature e possibilità. Si sentiva inebriato e, senza paura svelò sé stesso in un grande abbraccio pronto ad accoglierla. Era da tanto tempo che non si sentiva così.

Il suo colore ricordava quello del latte e del burro, e il suo profumo ricordava prati immensi e profumatissimi baciati dal sole e accarezzati dal vento. Il nuovo mondo non sapeva nulla della guerra e il contrasto con le donne italiane malnutrite e fiaccate dalle privazioni era stridente. Portava con sé ignoranza e stupidità ma anche innocenza e freschezza. Erano l’uno l’opposto dell’altro, lei veleggiava sulla superficie in leggerezza e inconsapevolezza, lui era immerso in un abisso d’inquietudine e consapevolezza.

Lei spesso scendeva negli abissi di Cesare con sensibilità e comprensione, ed è a questo punto che lui si spaventò, e la paura di perderla e di essere abbandonato lo strinse in una morsa. Da quel momento le cose non furono più le stesse. Ebbe paura. E la paura è contagiosa. Accadde quello che gli era accaduto tante altre volte, lei lo lasciò per tornare nel nuovo mondo alla ricerca di un senso nella celluloide. Con un altro uomo. Cesare si domandò spesso se lei aveva sentito la sua paura oppure se i loro opposti avevano accumulato un’energia tale da respingersi fino a un punto di non ritorno. Non seppe darsi una risposta che lo soddisfacesse in pieno, e a quel punto aveva ormai scarsa importanza. La nebbia ritornò da lui, scacciò il sole, oscurò i suoi orizzonti e raffreddò il suo cuore. Era di nuovo sull’orlo dell’abisso.

Ripensò spesso a lei e al loro percorso insieme. La sua storia con lei aveva assunto la dimensione del mito e lui era l’eroe, l’universo letterario, come sovente gli capitava, aveva preso il sopravvento sulla realtà. Recitavano entrambi. Ma Cesare non era un attore, il copione gli sfuggì di mano, e la realtà sfumò. Intrappolato nei suoi desideri e nella sua immaginazione non rimproverò sé stesso per il fallimento, l’ennesimo. Anzi, si sentiva bene per averci provato ancora una volta, al massimo delle sue possibilità, nonostante tutto. Si domandava però se alla fine ne valesse la pena. Il conflitto era costante e cominciava ad essere stanco.

L’attività letteraria continuava, splendente. Un’altra donna attraversò la sua via. Incontrò Pierina, e nuovamente cercò amore, calore e conforto. Questa volta senza illudersi. Registrò questa sua disillusione come una sconfitta personale. Ma la trattò bene, con la cura che meritava e che sempre aveva riservato alle cose che amava. Senza risparmiarsi. A parte qualche piccolo momento di grazia, molto bello, si sentiva invaso da un freddo eterno, ancestrale, inscalfibile. Era arrivato a un limite, e lo sapeva. Sentiva che il suo destino lo stava aspettando, aveva cercato di sfuggirgli per tutta la sua vita e invece non aveva fatto altro che andargli incontro. Il suo sguardo era proiettato aldilà, e non aveva la minima intenzione di tornare sui suoi passi. L’aldiquà non lo interessava più oramai. Era in procinto di partire. A schiena dritta e nessun bagaglio.

Scelse la variante chimica delle braccia di Morfeo. Mentre scivolava verso la morte a bordo di una polvere cristallina, chiara e splendente, il suo sguardo si posò sull’insegna dell’hotel che aveva scelto come ultima e prima tappa del suo viaggio. Albergo Roma. Non ci aveva fatto caso, ma colse la grande ironia. A Roma tutto era cominciato e in una Roma “altra” tutto finiva. Mentre chiudeva gli occhi rivide la luce e risentì i profumi e le atmosfere di quella città che gli aveva fatto un grande regalo. Che lui, come spesso gli accadeva, non era riuscito a capire. O che forse, aveva capito troppo. Per un po’ aveva avuto l’illusione che era possibile sottrarsi al destino e sconfiggere l’abisso che lo accompagnava sin da bambino. I suoi mille dubbi, fidati consiglieri che tante volte lo avevano aiutato arrivarono con discrezione, a porgerli un ultimo saluto. Sapeva che era difficile che si sbagliassero, e fu così anche quella volta, ma non si crucciò troppo di non averli ascoltati. Aveva intravisto un mondo nuovo e ci si era buttato. Voleva farne parte e ci aveva provato, ma nonostante tutti i suoi sforzi non ce l’aveva fatta. Non era dispiaciuto. Fu una sconfitta onorevole. Comprese che in fondo non era lei il problema, e neanche che lo avesse lasciato. Aveva proiettato tutto il suo mondo su di lei, tutta la sua vita. Le sue nostalgie, come le sue speranze. Cercava una via d’uscita all’inquietudine terrestre, che lo braccava. Ora l’aveva trovata. Nella pace celeste.